Cos’è il brand urbanism e perché può aiutare le aziende e le città

ASM SET 16/giu/2020
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È uno dei temi più caldi del momento: il brand urbanism può aiutare le città e le aziende a collaborare proficuamente, magari anche con un occhio di riguardo all’ambiente e alla sostenibilità?

Se ne è parlato anche alla Milano Digital Week 2020, un’edizione tutta online a causa del Covid-19, durante l’incontro “Brand Urbanism: una risorsa chiave per le città sostenibili del new normal”, a cura di IGPDecaux.

“La città-natura sarà una delle dimensioni necessarie per le città del new normal, insieme alla tutela e alla promozione della salute”.

Sono oggi in molti a prevedere uno sviluppo delle città in armonia con la natura, e anche i brand possono fare la loro parte. Anzi, molti di loro si schierano attivamente per un miglioramento della qualità ambientale ed ecologica della città, con particolare attenzione alla sostenibilità, alla salubrità e alla biodiversità.

Cos’è il brand urbanism

Il concetto di brand urbanism indica la collaborazione tra una città e un brand nella quale il brand lancia oppure in parte finanzia un progetto all’interno di un’area urbana, stanziando una parte del proprio budget di marketing a favore del miglioramento di un determinato spazio e della qualità di vita dei suoi abitanti, che possono esserne coinvolti in diversa misura.

La presenza dei marchi negli spazi pubblici urbani non è certo una novità, ma è cambiato negli ultimi anni l’approccio dei cittadini verso queste aziende.

I cittadini vogliono che i marchi si impegnino per il bene comune, per l’ambiente e per il miglioramento degli spazi urbani, e che svolgano un ruolo utile, coerente con i loro valori fondamentali. Queste nuove forti aspettative richiedono che i marchi contribuiscano in modo proattivo al miglioramento della qualità della vita nelle città.

Ecco perché il brand urbanism, oggi, può essere la soluzione a tanti problemi, tra cui anche la sostenibilità ambientale e il rispetto per l’ambiente.

Perché il brand urbanism conviene a tutti

Il brand urbanism sembra quindi la soluzione ai problemi di tutte le parti in causa:

  • le città, sede di sfide e soluzioni per lo sviluppo sostenibile, per soddisfare le esigenze delle popolazioni urbane in crescita (in termini di cibo, mobilità, benessere, ecc.) devono necessariamente fare i conti con le politiche di investimento delle aziende, che possono apportare risorse ulteriori. Attori pubblici e privati ​​devono collaborare per poter attivare nuove collaborazioni e partenariati, in vista del bene comune;
  • i cittadini, nel loro ruolo di consumatori, hanno crescenti aspettative in merito alla responsabilità dei marchi e all’impegno sociale che devono dimostrare. C’è una forte richiesta di servizi di alta qualità nei confronti delle città, e di attenzione verso l’ambiente;
  • i marchi vogliono agire a livello locale, con l’obiettivo di stabilire relazioni più strette con i propri clienti, ma anche dimostrare la loro utilità sociale e incarnare i loro valori fondamentali. Hanno le risorse per attivare nuovi progetti, e nello stesso tempo si fanno pubblicità in modo intelligente.
ikea

La città post pandemia

La città del futuro dovrà porre necessariamente attenzione alla mobilità sostenibile, alla riorganizzazione dei tempi della vita urbana, e alla creazione di un’urbanistica di quartiere, più attenta ai bisogni degli individui che non alle logiche di mercato.

Sicuramente la pandemia ha dato un’accelerata allo sviluppo di questi temi: tutti abbiamo dovuto ripensare la nostra vita, i nostri spostamenti, il nostro approccio alla città.

Tanti sentono forte la necessità di una diversa politica dello spazio, che ridefinisca l’uso degli spazi pubblici, magari in un’ottica più “green” di quanto è stato fatto in passato. Il brand urbanism in questo senso può aiutare molto, apportando un flusso di risorse inimmaginabile anche per le città più grandi.

I brand, insomma, con le loro politiche di investimento possono essere apportatori di risorse utili per la città, a patto che il tutto venga realizzato nel rispetto dell’ambiente.

Qualche esempio di brand urbanism di successo

Pierfrancesco Maran, Assessore Urbanistica, Verde e Agricoltura del Comune di Milano ha rilevato come nell’ultimo decennio la città ha collaborato con imprese, cittadini e privato sociale per attivare progetti di brand urbanism efficaci.

Un esempio è il progetto ForestaMi, che ha come obiettivo quello di piantare 3 milioni di alberi entro il 2030.

Tante sono le aziende che hanno aderito, sostenendo la città nello sforzo di riforestare gli spazi pubblici.

I primi 2000 alberi sono stati donati da Gucci, come ha ribadito il sindaco Beppe Sala: “l’impegno di Gucci in questo progetto, molto positivo e concreto, dimostra che le aziende stanno cambiando sensibilità rispetto al tema dell’ambiente. E iniziative come queste possono aprire la strada a un nuovo modo di intendere la collaborazione tra pubblico e privato”.

La stessa Gucci e Burberry si stanno impegnando, negli ultimi anni, in progetti di carbon offsetting: una modalità di compensazione delle emissioni di CO2 derivate dalle sfilate (della Fashion Week e non solo).

Funziona così: le aziende del fashion calcolano le emissioni di anidride carbonica dannose prodotte dalle operations delle aziende e dalle loro filiere, e cercano di compensarle ad esempio con investimenti in progetti per la protezione e conservazione dell’ambiente, come la riforestazione urbana, appunto.

Costruire quartieri e offrire servizi

I brand possono anche avviare un progetto nelle città contribuendo a generare un effetto positivo per la comunità, offrendo un servizio.

È il caso del progetto BIKETOWN di Nike. Il brand ha stipulato un accordo di partnership con la città di Portland avviando un progetto di bike sharing, che in poco tempo ha portato ben 1.000 biciclette in più di 100 stazioni del centro e in diversi quartieri.

nike_brand_urbanism

Un altro esempio? Ikea ha costruito a Londra un intero quartiere sostenibile.

All’inizio del 2013 hanno preso avvio i lavori per la costruzione dello “StrandHome East” in Strand East: uno spazio fatto di piccoli negozi, centri culturali, campi da gioco, aree verdi, zone pedonali, piste ciclabili e piazze, in cui non possono circolare auto e gli autobus si muovono in apposite aree dedicate.

È un progetto sostenibile ed ecocompatibile che valorizza un basso consumo di energia – ricavata da fonti rinnovabili – e un utilizzo consapevole di materie prime.

Un esempio tutto italiano è quello della Latteria Soligo (come si legge nella esaustiva tesi di laurea di Leonardo Cabianca) presente nella provincia di Treviso, che ha deciso di investire più di 2,5 milioni di euro per interventi strategici di Economia Circolare (per l’installazione di alcuni pannelli solari e per un sistema di biomassa), con lo scopo di riuscire a ridurre l’impatto ambientale della propria filiera produttiva. L’intervento ha garantito un deciso miglioramento delle diverse fasi di produzione dei prodotti, andando inoltre a influenzare, in modo sostenibile, l’intera comunità circostante.

Conclusioni

Il brand urbanism può quindi aprire interessanti percorsi per aiutare le città a superare le sfide che devono affrontare, comprese quelle relative all’ambiente, al clima, ai legami sociali e al rinnovamento dei distretti abbandonati.

La loro capacità di risolvere questi problemi dipende dall’impegno di tutti gli attori, compresi quelli del settore privato e delle aziende.

Aiuta anche i marchi a stabilire radici locali più forti nelle aree in cui operano e in cui vivono i loro clienti e a far valere la loro utilità sociale, come ha ricordato Élisabeth Laville, fondatrice e presidente di UTOPIES, la prima agenzia di consulenza francese dedicata esclusivamente alla promozione dello sviluppo sostenibile.

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