Effetti della crisi energetica in Italia: cosa sta davvero accadendo?

ASM SET 1/ott/2022
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Il termine crisi energetica è entrato ormai nel vocabolario di tutti gli italiani ed è strettamente legato a questo 2022 che sta per volgere al termine.

Durante gli ultimi mesi si è dovuto fare i conti con le bollette quadruplicate e con centinaia di imprese che chiudono o che sono a rischio default.

D’altronde la crisi energetica si ha quando la domanda aumenta a parità di offerta, oppure quando a parità di domanda l’offerta di energia diminuisce. Così, ovviamente, se i compratori vogliono 10 mele, il venditore che ne ha solo 7 le potrà venderà ad un prezzo più elevato.

Questo è ciò che sta accadendo già da tempo, con aumenti vertiginosi dei prezzi dell’energia che si ripercuotono sulla popolazione. E se questo scenario non muterà a breve, è facile prevedere il buio futuro che c’è dietro l’angolo ad attenderci.

Ma a cosa è dovuta questa difficile situazione? Possibile che l’unica causa scatenante sia la guerra in Europa? E come si può fare per superarla senza subire troppi danni o dover pagare gravi conseguenze?

In questo articolo, vediamo nel dettaglio cosa è davvero questa crisi energetica e cosa sta accadendo in Italia.

Le cause della crisi energetica in sintesi

La crisi energetica che stiamo vivendo non deriva da una sola causa ma, come sempre accade per le situazioni complesse, ci sono in ballo una serie di concause. Vediamole tutte:

1.     Il lockdown e il post lockdown

Durante e dopo i quasi due anni caratterizzati dalle misure di contenimento del virus c’è stata una vera e propria impennata della domanda di energia. Questo è stato causato dall’aumento della richiesta di materie prime che la ripresa delle produzioni ha faticato a esaudire.

2.     La guerra in Europa e la crisi energetica

Sicuramente il conflitto Russia-Ucraina e tutte le conseguenze a cui ha portato non hanno aiutato, d’altronde i temi guerra e ambiente sono legate a filo doppio. Le reazioni di disappunto degli altri Stati non sono state ben viste dalla Russia che ha iniziato a fare un uso politico del gas. Così il Presidente Putin mette a disposizione dell’Europa una quantità inferiore di gas rispetto a quella prevista negli accordi con l’obiettivo di mettere in difficoltà i Paesi.

3.     Nuovi equilibri geopolitici e fragilità interne

A causa della scarsa fornitura di gas dalla Russia, l’Italia e l’Europa tutta hanno dovuto affrettarsi per rivolgersi ad altri fornitori, come Stati Uniti e paesi dell’est. Questo ha creato una situazione di allarme e incertezza che non ha di certo aiutato, soprattutto perché ogni Paese si è ritrovato a fare i conti con le proprie fragilità interne.

L’Italia si è scoperta energeticamente troppo dipendente e ora deve scegliere se puntare sulle rinnovabili oppure se riaprire delle centrali di carbone o nucleari.

4. I cambiamenti climatici

Sebbene se ne parli ormai da tempo, negli ultimi tempi le conseguenze dei cambiamenti climatici si stanno facendo sempre più presenti e impattano fortemente sulle economie.

5. La transizione energetica non eseguita al meglio

Investire maggiormente sulla transizione energetica avrebbe permesso all’Italia di ottenere un grado di autosufficienza energetica maggiore rispetto a quello attuale.

6. Le normative sui prezzi dell’energia

Alcune normative italiane che regolano la formazione dei prezzi dell’energia, legandolo a quello del gas, hanno contribuito all’aumento vertiginoso dei prezzi di entrambe queste materie prime.

Ma scendiamo più nel dettaglio e analizziamo gli effetti della crisi energetica per capire davvero cosa sta accadendo.

Bollette di gas ed elettricità alle stelle

Famiglie e imprese sono tutte tristemente nella stessa barca. In tanti hanno visto negli ultimi mesi le proprie bollette triplicare o addirittura quadruplicare.

Il prezzo dell’energia elettrica è infatti aumentato, passando da marzo a dicembre 2021 da 60 €/Mwh a quasi 290 €/Mwh, mentre il gas è aumentato del 700% in 2 anni.

Al termine del 2022 potremmo ritrovarci con un costo per l’energia da parte dell’Italia di 37 miliardi di euro. a fronte degli 8 del 2018 e dei 20 del 2020.

Ma le utenze non sono le uniche spese ad essere aumentate.

Già a partire dal periodo post lockdown, l’euforia da ripresa che ha colpito consumatori e imprese ha seriamente messo in difficoltà i fornitori di diverse materie prime. Basti pensare al settore automobilistico e ai tempi biblici necessari per ottenere una nuova auto una volta acquistata.

Questo non ha fatto altro che alimentare un circolo in cui la domanda di energia aumentava a causa dell’intensificarsi delle produzioni.

Accanto poi all’aumento della domanda da parte del nostro Paese, le vicende europee hanno fatto sì che la Russia tagliasse la fornitura di gas naturale di circa il 40%.

Aumentano i prezzi dei permessi per emettere anidride carbonica

I permessi per emettere anidride carbonica CO2 sono scambiati sull’ETS europeo, l’Emission trading system. Si tratta di un mercato dove avvengono gli scambi dei permessi di inquinare.

La sua esistenza è legata al fatto che le imprese più inquinanti, come ad esempio le centrali elettriche o le acciaierie, hanno un limite massimo di emissioni di CO2 annue e una volta raggiunto tale limite dovranno acquistare altri permessi aggiuntivi. Al contrario, se inquinano meno potranno rivendere sull’ETS i permessi non utilizzati.

La nascita dell’ETS, che risale ormai al 2005, è stata voluta per ridurre le emissioni e incentivare la transizione ecologica, facendo sì che i soggetti che inquinano maggiormente paghino di più e quelli che inquinano meno, invece, risparmino.

Ma cosa centra il prezzo di questi permessi con le bollette degli italiani?

Beh, iniziamo con il considerare che l’importo per acquistare un permesso è passato da 33,7 a 56 euro solo nel primo semestre del 2021 e che ha poi di gran lunga superato anche questa cifra. Questo ha costretto le grandi imprese produttrici di energia a sostenere costi molto più elevati e doverli riversare sui consumatori finali.

L’aspetto preoccupante della faccenda è anche che il numero di permessi che è possibile scambiare sull’ETS diminuisce di anno in anno, pertanto il loro prezzo – e di conseguenza quello sostenuto dalle imprese e dai consumatori – continuerà ad aumentare.

Vorremmo dire che le brutte notizie sono finite, ma non è così.

La già precaria situazione è infatti resa ancor più difficile dalla scarsa resa dell’energia eolica registrata negli ultimi anni a causa dei cambiamenti climatici. Il riscaldamento globale ha infatti generato meno venti del solito riducendo di gran lunga l’energia derivante dall’eolico. Anche per questo motivo, la domanda e il consumo di gas è aumentato (anche perché l’energia eolica non può essere immagazzinata).

Crisi energetica: molte imprese chiudono e tante altre sono a rischio

In un contesto, come quello attuale, dove il prezzo di gas ed energia elettrica è alle stelle, riuscire a proseguire nella produzione diventa un lusso.

Non solo le grandi imprese energivore sono in crisi, come acciaierie, ferriere, fonderie, vetrerie e imprese che lavorano ceramica, cemento, legno e carta. Ma anche le piccole e medie imprese italiane, di cui il Belpaese è ricco. Proseguire nella produzione è per alcuni una riduzione di margini di profittabilità, per altri uno scenario ormai insostenibile.

La percezione è che in Italia vada peggio rispetto agli altri Paesi europei e tale percezione è supportata dai dati reali. Questo perché in termini di ricorso a fonti energetiche, il nostro Paese soddisfa il suo fabbisogno energetico per il 42% utilizzando gas. Al contrario di Regno Unito, Germania, Spagna e Francia che ricorrono al gas per percentuali inferiori, rispettivamente il 28%, il 26%, il 23% e il 17%.

Questi Paesi, infatti, puntano molto anche su altre fonti energetiche, come la Germania che si affida molto al carbone, la Spagna al petrolio e la Francia al nucleare.

Restando poi in un’ottica di comparazione tra Stati, l’Italia è indietro anche sul tema rinnovabili, che soddisfano il nostro fabbisogno per una quota del solo 11%, al contrario di Germania, Regno Unito e Spagna.

Tra i tanti aumenti anche quello della benzina

Negli ultimi mesi abbiamo vissuto anche un altro fenomeno negativo, quello dell’aumento del prezzo del carburante. Il prezzo di diesel e benzina ha sfondato senza troppa timidezza il tetto dei 2 euro a litro, anche questo conseguenza diretta dell’aumento del prezzo del petrolio.

Tutta colpa del conflitto tra Russia e Ucraina?

Parliamone.

Sicuramente la situazione è complessa e gli scontri bellici non aiutano, anzi tirano su il prezzo del greggio. Tuttavia, a livello globale c’è una maggiore diversificazione dell’estrazione del petrolio, rispetto a quella di gas naturale.

In tutto il mondo ci sono scorte strategiche di petrolio molto elevate. e possono essere usate in caso di necessità anche per far fronte a riduzioni dell’offerta e limitare la speculazione internazionale.

Ad affermarlo è Claudio Spinaci, presidente dell’Unione Energie per la Mobilità UNEM.

Cerchiamo di capirne di più.

Perché è aumentata anche la benzina?

Il Brent è il petrolio estratto nel Mare del Nord che viene usato come riferimento per il prezzo del greggio nel mondo. Dopo l’inizio del conflitto il suo prezzo è schizzato verso l’alto, per volontà dell’Opec+, l’organizzazione che racchiude 23 tra i maggiori esportatori di petrolio al mondo, Russia compresa.

Sebbene dagli Usa sia più volte arrivata la richiesta di aumentare le estrazioni per poter così tenere sotto controllo i prezzi, l’organizzazione ha deciso di non intervenire in questo senso.

Così, l’agenzia internazionale per l’energia AIE e i suoi 31 Paesi membri, hanno deciso di svincolare 60 milioni di barili di petrolio che avevano come scorte di emergenza. L’obiettivo è aumentare l’offerta di greggio per tenere sotto controllo i prezzi, ma anche rassicurare i mercati allontanando la paura di una temuta scarsità di petrolio.

Rientrando nel territorio della Penisola poi c’è da considerare la tristemente nota tassazione sul carburante. Il nostro Paese, infatti, tra accise e Iva pesa per il 55,3% sul costo finale della benzina e per il 51,8% su quello del gasolio. Senza considerare che molte di queste accise si riferiscono a tragedie da cui sono trascorsi ormai molti anni, come il disastro della diga del Vjont del 1963 o il terremoto dell’Irpinia del 1980.

In questo scenario complesso, queste sono le motivazioni per cui anche il prezzo del carburante sta spingendo verso l’alto.

Come abbiamo detto però gli aumenti del prezzo del petrolio sono meno preoccupanti di quelli che riguardano gas ed elettricità, perché le fonti petrolifere mondiali sono molteplici. Ma non solo.

Anche se la Russia dovesse bloccare le esportazioni di greggio, il nostro approvvigionamento dovrebbe essere rimpiazzato per il solo 10%, al contrario del gas naturale che importiamo dalla Russia per il 43% del totale da noi consumato.

Non siamo energeticamente autonomi, né in quanto italiani né quanto cittadini europei

Allo scoppiare del caro bollette, molti italiani si sono interrogati sul motivo della nostra dipendenza energetica. Perché l’Italia non è energeticamente autonoma? E gli altri Paesi europei lo sono?

Iniziamo col dire che per quanto si faccia un gran parlare di energie rinnovabili, tutti i Paesi europei fanno ancora largo uso di fonti fossili per ottenere l’energia necessaria.

Abbracciare un sempre maggior impiego di fonti rinnovabili di energia è stato pensato come un passaggio graduale. Con una iniziale riduzione dell’utilizzo di carbone e un maggior impiego di gas naturale, come “risorsa ponte” e meno inquinante del carbone.

Così, ci si ritrova che la Russia è il primo esportatore e fornisce il 38% del gas naturale utilizzato in Europa.

Quindi, mentre da un lato la domanda di carbone diminuiva, perché più inquinante, quella di gas naturale cresceva.

Questa dinamica è valsa tanto per l’Italia quanto per gli altri Paesi UE, ma con alcune differenze sostanziali.

Per esempio, la Germania ha tenuto la sua produzione interna di carbone, mentre la Francia può contare sulle sue centrali nucleari. L’Italia è rimasta così legata a doppio filo con le forniture russe.

La politica e il Nord Stream 2

È innegabile che in questo scenario la politica la faccia orai da padrona. Così anche l’utilizzo delle infrastrutture viene politicizzato.

Il tanto discusso Nord Stream 2 è un gasdotto che passa dal Mar Baltico e arriva in Germania, fratello minore del gasdotto ad oggi più utilizzato per trasportare il gas naturale dalla Russia all’Europa.

Il Nord Stream 2 è già stato realizzato e finanziato da Russia e Germania e potrebbe sostituire altre vie di rifornimento che passano dai territori dell’Ucraina.

Già prima del conflitto, il Presidente Putin spingeva affinché il gasdotto potesse entrare in funzione, riducendo le forniture provenienti in Europa dagli altri gasdotti. Ma gli altri Paesi europei temono che in questo modo l’Ucraina sarebbe troppo esposta al volere del Cremlino che con il Nord Stream 2 non avrebbe più la necessità di passare dall’Ucraina.

Quanto c’entra la transizione ecologica con la crisi energetica?

Non sono pochi gli italiani che credono che la colpa di questo forte aumento dei prezzi dell’energia dipenda dalla transizione ecologica. Per questo motivo vale la pena approfondire.

La transizione ecologica non è qualcosa che è accaduto e che ha sconvolto gli scenari, ma è un passaggio, una transizione appunto, molto lenta e complessa che porterà i Paesi ad approvvigionarsi energeticamente da fonti sostenibili.

Avendo fin qui esposto i motivi che hanno condotto e che esasperano la crisi energetica, ci si rende conto di come la transizione ecologica centri nulla o poco, eccezion fatta per l’aumento dei prezzi dei permessi scambiati sull’ETS.

Il fatto è che la transizione non c’entra molto con la crisi energetica ed è dimostrato dai numeri.

Entro il 2030 infatti si ha l’obiettivo di produrre 70 GW da fonti rinnovabili mentre oggi siamo a circa 1 GW, nonostante le richieste di allacciamento nel nostro Paese ammontino a 146 GW.

Ma perché tutte queste richieste non vengono realizzate?

Nel 2020 si sono concretizzate solo l’1,3% delle richieste fatte nel 2014. Perché aprire un parco eolico o fotovoltaico di piccole o grandi dimensioni richiede in Italia circa 6 o 7 anni. Oltre a un iter fatto di 5 step per l’autorizzazione e altrettanti per l’allacciamento.

Ma il tempo necessario per l’iter burocratico non è l’unico nemico. Perché sia le Regioni sia le Sovrintendenze possono bloccare i progetti in corso per motivi legati al disturbo della comunità o dei paesaggi.

La Puglia conta 396 progetti fermi, mentre il Lazio 126.

Inoltre oggigiorno la Legge non permette che l’energia prodotta da fonti rinnovabili possa essere accumulata, pertanto quella che non viene utilizzata si spreca.

Crisi energetica, transizione energetica e termovalorizzatori

Un ultimo aspetto su cui vale la pena fare cenno, riguarda l’utilizzo dei rifiuti che ancora oggi viene eccessivamente destinato alla discarica.

La termovalorizzazione, serve a dare valore ai rifiuti non più riutilizzabili o riciclabili.

Significa produrre energia dalla combustione dei rifiuti ed è stato dimostrato che è molto meno inquinante del trasporto dei rifiuti e della presenza delle discariche, che oggi rappresentano una vera criticità.

Come è evidente, la transizione ecologica necessita di tempo e risorse perché venga compiuta, ma soprattutto ha bisogno di un reale e condiviso interesse.

Questo passa per una progettazione di lungo periodo che, se fosse stata attuata anche pochi anni fa, non avrebbe esposto l’Italia alla dipendenza energica in cui si ritrova oggi.

Quindi, non solo la transizione ecologica nulla ha a che spartire con la crisi energetica, ma l’avrebbe ridotta se fosse stata attuata in passato.

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