Rischio idrogeologico e cambiamento climatico: correlazioni e possibili interventi

ASM SET 23/lug/2022
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In Italia il rischio idrogeologico è diffuso in modo capillare.

Ne sentiamo parlare in termini di “dissesto” idrogeologico e rappresenta un problema di notevole importanza.

Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio ai dissesti idrogeologici, rientra la conformazione geologica e geomorfologica del nostro Paese.

Caratterizzato da una distribuzione dei rilievi (orografia) complessa. Con bacini idrografici generalmente di piccole dimensioni, ma con tempi di risposta alle precipitazioni estremamente rapidi.

Il tempo che intercorre tra l’inizio della pioggia e il manifestarsi della piena nel corso d’acqua può essere dunque molto breve.

Eventi meteorologici localizzati e intensi, combinati con queste caratteristiche del territorio, possono dare luogo a fenomeni violenti.

Con rapide colate di fango e inondazioni improvvise.

Il rischio idrogeologico è inoltre fortemente condizionato dall’azione dell’uomo:

  • densità della popolazione;
  • progressiva urbanizzazione;
  • abbandono dei terreni montani;
  • abusivismo edilizio (e/o cementificazione selvaggia);
  • deforestazione (e incendi);
  • uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente;
  • mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua.

Tutto ciò ha aggravato il dissesto e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano. Aumentando l’esposizione ai fenomeni e quindi il rischio stesso.

Così, a maggio, giugno e luglio parliamo di siccità. Dopo l’estate, di alluvioni, frane e mareggiate…come se non riuscissimo a programmare e cambiare azioni.

L’attenzione del ministero dell’ambiente negli ultimi anni è cresciuta. Ma l’impegno a seguire queste dinamiche non può essere di un singolo uomo.

Anche secondo gli esperti, per cambiare le cose, deve esserci una presa di coscienza del governo, del parlamento e della popolazione.

Cosa vuol dire: a rischio idrogeologico?

Parlare di rischio idrogeologico vuol dire riferirsi ad una serie di problematiche connesse all’idrogeologia.

Questa è la disciplina delle scienze geologiche che studia le acque sotterranee. Anche in rapporto alle acque superficiali!

Nell’accezione comune, il termine dissesto idrogeologico viene invece usato per definire i fenomeni e i danni reali o potenziali causati dalle acque in generale.

Siano esse superficiali, in forma liquida o solida, o sotterranee.

Le manifestazioni più tipiche di fenomeni idrogeologici sono: frane, alluvioni, erosioni costiere, subsidenze e valanghe.

Una tra le conseguenze del rischio idrogeologico.

Nel sistema di allertamento il rischio è differenziato e definito come:

  • rischio idrogeologico. Corrispondente agli effetti indotti sul territorio dal superamento dei livelli pluviometrici critici lungo i versanti. Dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua, della rete idrografica minore e di smaltimento delle acque piovane;
  • rischio idraulico. Corrisponde agli effetti indotti sul territorio dal superamento dei livelli idrometrici critici (possibili eventi alluvionali) lungo i corsi d’acqua principali.

La frequenza di episodi di dissesto idrogeologico, che hanno spesso causato la perdita di vite umane e ingenti danni ai beni, ha imposto la realizzazione di una politica di previsione e prevenzione.

Non più incentrata sulla riparazione dei danni e sull’erogazione di provvidenze. Ma, sull’individuazione delle condizioni di rischio e sull’adozione di interventi per la sua riduzione.

Provvedimenti normativi hanno permesso la perimetrazione delle aree a rischio. Abbiamo sviluppato inoltre un sistema di allertamento e sorveglianza dei fenomeni.

Che, assieme a un’adeguata pianificazione comunale di protezione civile, rappresenta una risorsa fondamentale per la mitigazione del rischio.

Soprattutto laddove non si possa intervenire con misure strutturali.

Rischio idrogeologico: Italia

Il rischio idrogeologico non risparmia nessuno in Italia.

Da Venezia a Matera, dalla Sicilia all’Aurelia (chiusa per frana qualche anno fa). Passando, per esempio, per il crollo del ponte sulla A6 all’altezza di Savona…o per la strage di alberi in Toscana!

“Solo” due settimane di piogge e forti venti, in autunno, bastano a flagellare l’Italia e il suo territorio.

Prepariamoci.

Nessuna novità quando sentiamo parlare di crolli, frane, esondazioni di fiumi (come nel caso del Po) e vittime. Poi una breve tregua, poi il “maltempo” ritorna.

Ma si tratta davvero di eventi climatici talmente eccezionali da piegare intere zone dell’Italia?

O c’è un problema legato al clima che cambia e alla mancanza di prevenzione del dissesto idrogeologico?

A chiarirci le idee, Antonello Fiore. Presidente nazionale della Società italiana di geologia ambientale (Sigea).

In un’intervista, la prima domanda posta all’esperto è semplice: è colpa dei cambiamenti climatici?

Il dottor Fiore risponde attraverso l’evidenza: il regime pluviometrico sta subendo un cambiamento.

E su questo, l’aumento delle temperature influisce notevolmente.

Maggior calore vuol dire più evaporazione, più umidità e quindi un maggior scarico di pioggia quando questo vapore incontra le correnti atmosferiche fredde.

E il cambiamento climatico non deve essere un alibi (quando fa comodo).

Anzi, proprio le conseguenze del riscaldamento globale hanno, da tempo, portato i geologi ambientali a chiedere di intervenire.

Per adottare dei comportamenti di adattamento ormai necessari.

L’ISPRA ha elaborato cinque indicatori nazionali di rischio relativi a: popolazione, famiglie, edifici, imprese e beni culturali.

L’obiettivo è fornire uno strumento conoscitivo a supporto delle politiche nazionali di mitigazione.

La popolazione a rischio frane in Italia, residente nelle aree a pericolosità PAI elevata e molto elevata (P3+P4) è risultata pari a 1.281.970 abitanti. (2,2%)

Quella a rischio alluvioni nello scenario di pericolosità idraulica media P2 a 6.183.364 abitanti (10,4%).

Parola chiave: adattamento (e mitigazione)!

Quali sarebbero, dunque, i comportamenti di adattamento in merito al rischio idrogeologico?

Il dottor Fiore afferma che esiste un vero e proprio piano di adattamento climatico. Bisognerebbe sollecitare le azioni!

Dal secondo dopoguerra in poi, abbiamo trasformato il territorio pensando solo agli interessi economici.

Senza preoccuparci del cambiamento.

Quindi, sono colpa dell’uomo anche le conseguenze del maltempo, come frane, smottamenti, alluvioni, esondazioni?

Secondo l’esperto, sì!

Anche se non è solo un problema di manutenzione delle strutture.

A oggi abbiamo tre problemi:

  1. il primo è che nella maggior parte dei casi parliamo di infrastrutture di 40-50 anni. Che necessitano di manutenzione o di essere rifatte;
  2. il secondo è che è il territorio stesso a essere fragile. Perché non ce ne siamo mai curati;
  3. il terzo problema è l’interferenza tra questi due fattori. Strutture vecchie e terreni fragili creano certi disastri.

(Il crollo del ponte di Savona, dove 30mila metri cubi di fango sono precipitati su un viadotto inaugurati all’inizio degli anni Sessanta, è un caso che andrebbe studiato all’università.)

Si tratta di un problema ampio che non si risolve neanche con i piani emergenziali.

Un problema di cultura e di pianificazione degli interventi che non c’è stata negli ultimi 60 anni.

Ora ce ne verranno forse la metà per ripianificare al meglio e per stabilire le priorità.

Ma anche ai giorni d’oggi possiamo leggere di costruzioni in aree collinari in cui sappiamo che il fiume prima o poi esonderà e allagherà tutto….

Creare una cultura del rispetto del territorio, dunque, è la soluzione migliore a lungo termine.

Affrontare il rischio idrogeologico…e i cambiamenti climatici!

Nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite non si parla del dissesto idrogeologico italiano, ma…si propone di affrontare esattamente le cause a monte.

L’obiettivo 15 recita:

“proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e invertire il degrado dei suoli e fermare la perdita di biodiversità.”

Mettendo in atto certe progettualità andiamo semplicemente incontro a numerosi benefici.

Tra l’altro tutto ciò viene richiamato chiaramente anche in una delle ultime encicliche papali.

Sembrerebbe proprio che determinate tematiche stiano a cuore a tutti!

Secondo il professor Fiore, noi italiani siamo un po’ troppo fatalisti. Chi costruisce casa, si preoccupa tantissimo dei rivestimenti, della rubinetteria e degli arredi.

Ma non di sapere se è stata fatta una perizia o una messa in sicurezza.

Un problema culturale…in effetti!

Le famiglie a rischio frane e alluvioni (secondo il rapporto Ispra 2018) sono 538.034 e 2.648.499.

Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono 550.723 (3,8%).

Quelli ubicati in aree allagabili nello scenario medio sono 1.351.578 (9,3%).

Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono quasi 83.000. Con 217.608 addetti esposti a rischio.

Sono esposte al pericolo di inondazione nello scenario medio, 596.254 unità locali di impresa (12,4% del totale). Con 2.306.229 addetti a rischio.

I Beni Culturali potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono 11.712 nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata.

Raggiungono complessivamente 37.847 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità.

I monumenti a rischio alluvioni sono 31.137 nello scenario a pericolosità media e raggiungono i 39.426 in quello a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi.

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